Da Johannesburg a Victoria Falls

Da Johannesburg a Victoria Falls on the road

In questo articolo riportiamo una ‘breve’ parte di un lunghissimo diario di viaggio scritto da Ettore, un grande viaggiatore che abbiamo avuto il piacere di avere con noi in tour ad agosto. Diciamo che ha quasi scritto un libro ma abbiamo dovuto tagliare qualche parte per rendere la lettura più veloce, senz’altro emerge in ogni singola riga l’entusiasmo per questo paese che ha stregato noi e che ha sempre lo stesso effetto su chiunque abbia la fortuna di visitarlo.

Diario di Viaggio di Ettore

Nello specifico Ettore ed il resto della pazza comitiva hanno preso parte ad una ‘spedizione’ in tenda, a bordo di un comodo fuoristrada siamo partiti da Johannesburg e arrivati fino alle Cascate Victoria accompagnati da un tour leader locale e da Cristiano, un accompagnatore Mokoro. Un modo di viaggiare avventuroso ed emozionante fatto da un contatto continuo con la natura, da lunghi tragitti in strade sterrate, da cene sotto le stelle. Questa è una soluzione di viaggio per visitare il paese ma vi sono varie possibilità anche per chi cerca maggiore comfort, ma tutto questo lo spiegheremo in un altro articolo!

Lunedì 15 agosto Khama Rhino Sanctuary – Kalahari – Maun

La notte trascorre bene. Nessun rumore ha disturbato il mio sonno, dovrò aspettare le notti nel Delta per ascoltare la voce della savana. Alle 5/30 smontiamo il campo mentre salgono le prime luci dell’aurora e facciamo colazione attorno al ravvivato fuoco del campo.
Il safari mattutino non ci regala la vista dei rinoceronti, ma ci da il primo assaggio di fauna selvatica. La prima ad apparire è stata una giraffa. Ci siamo fermati ad ammirarla mentre ci aggirava con movimenti lenti ed eleganti, ci teneva sotto controllo sbattendo le sue grandi ciglia. Avevano un bel dirmi di non agitarmi, che ne avrei viste da stufarmi, ma era la prima che vedevo muoversi libera nel suo ambiente naturale e l’emozione è stata grande. Un’apparizione bella e fugace. Ai bordi di un piccolo stagno troviamo un imponente orice che solitario osserva il territorio. Altero ed elegante sembrava il vero signore della zona. E’ veramente un bellissimo animale con quelle sue lunghe corna ad anelli, dritte e nere come lance. Ha una livrea marrone chiaro contornata da linee nere che mettono in risalto il bianco del viso, del ventre e della parte inferiore delle zampe. Sulle rive dello stagno c’erano numerosi uccelli, dai piccoli storni comuni dal piumaggio nero con riflessi blu elettrico, ai grandi struzzi. C’era anche una solitaria otarda, l’uccello più pesante in grado di volare e tante faraone dalla testa azzurra. Sui rami vicini all’acqua cantavano buceri e upupe. Eravamo cosi eccitati che facevamo un baccano infernale. Siamo stati richiamati all’ordine da Cristiano che ci ha ricordato l’importanza di mantenere il silenzio per non disturbare gli animali, o peggio ancora, innervosire quelli pericolosi. Lasciamo la riserva e ci spostiamo verso nord.

Attraversando il deserto del Kalahari sfioriamo le grandi saline che caratterizzano la parte centrale di questo deserto. Un tempo era un grande lago ed ora è un’immensa distesa bianca che tremola abbagliante nella luce e nel calore del mezzodì. In queste lande polverose la vegetazione si limita a qualche sparuta acacia e pochi cespugli che in questa stagione secca sono grigi come il terreno. E’ stata quindi una vera sorpresa incrociare il fiume Boteti che è l’unica fonte di acqua costante. Cristiano è veramente prezioso, ha continuato a darci informazioni e spiegazioni che hanno contribuito a spezzare la monotonia di questi lunghi trasferimenti.
Alle 15/30 arriviamo a Maun; domani ci trasferiremo su un’isoletta del Delta a bordo dei Mokoro, lunghe e strette imbarcazioni dal fondo piatto ricavate dal tronco di un albero. Vengono guidate stando in piedi sul retro e spingendole con una lunga pertica. Lì saremo veramente a casa degli animali, potranno entrare liberamente nel nostro campo che non prevede protezione alcuna. L’idea mi preoccupa e affascina. L’avventura vera sta per iniziare, non sto nella pelle. Sara dura prender sonno, sono troppo eccitato, ad ogni modo Buonanotte.

Martedì 16 agosto Maun – Delta Okavango

D’ora in poi ci sposteremo a bordo di un fuoristrada aperto, un altro mezzo ci seguirà con tutta l’attrezzatura. L’aria era fresca, non avevamo ancora preso atto di cosa significhi viaggiare “plein air” e nel tratto di strada asfaltata il freddo si è fatto sentire. Fortunatamente ben presto entriamo nell’area del Delta e sulla pista l’andatura cala drasticamente. Serpeggiamo sul terreno per evitare le depressioni che nella stagione piovosa sono piene d’acqua. Di tanto in tanto passiamo accanto a piccoli insediamenti con capanne di paglia e recinti di cespugli per gli animali. Rispondiamo al saluto dei bambini che corrono gridando felici a bordo strada. I primi specchi d’acqua impreziosiscono il paesaggio e danno senso ai piccoli ponti visti in precedenza. Sui rami di piante morte che emergono dall’acqua stavano in agguato due eleganti aquile pescatrici, corpo bianco e ali nere. Sotto di loro alcune zebre si abbeveravano indifferenti alla nostra presenza mentre un terzetto di giraffe spiluccava le chiome, un impala solitario invece ci fissava immobile. Poco distante vediamo uno sciacallo attraversare una radura, sospettoso e prudente continuava a girarsi.
All’approdo ci stanno aspettando una dozzina di vogatori con i mokoro, uomini e donne di un villaggio del delta che vivono con questa attività. Ogni canoa può trasportare un paio di persone, con un ingegnoso espediente hanno ricavato due sedili, i materassini piegati e sostenuti dai nostri zaini formavano gli schienali. Stavamo comodamente seduti con le gambe allungate sul fondo. La fortuna ha voluto che salissimo sul Mokoro del capo gruppo, un giovane uomo dal fisico statuario e sguardo carismatico, così siamo partiti per primi. E’ stata un’esperienza memorabile scivolare sull’acqua e infilarsi in quegli stretti canali ricoperti di canneti e papiri, mentre le ninfee fiorite impreziosivano le rive. Potevamo sfiorarle con le mani mentre passavamo lentamente accanto. Davanti non avevamo nessuno, e quindi era la nostra prua a rompere la quiete delle acque.

In quel dolce dondolio sentivamo solamente il soffio del vento che scuoteva i pennacchi del canneto e il leggero sciabordio della pertica che Wako immergeva, spingendo con forza lenta e costante. Inebriato da tanta bellezza ho pensato che se il paradiso esiste veramente, vorrei arrivarci così.
Arriviamo dopo due ore abbondanti, il tempo è passato senza che me ne accorgessi tanta era la curiosità per la bellezza dell’ambiente che attraversavamo. Montiamo il campo in uno spiazzo all’ombra di grandi alberi vicino alla riva.
Abbiamo qualche ora di relax, alle 16 è previsto un safari a piedi di 2-3 ore verso l’interno dell’isola. La mia tenda è l’unica con l’apertura verso l’acqua e sto scrivendo seduto li davanti. Regna una pace irreale, sembra che tutto si sia fermato sotto il caldo sole del pomeriggio. All’ombra però si sta bene e tra frasi e disegnini mi godo lo spettacolo naturale che mi circonda.
Che magnifica uscita abbiamo fatto. Una camminata emozionante con numerosi incontri e alcune regole da rispettare: rimanere in silenzio, marciare in fila indiana, richiamare l’attenzione schioccando le dita, spiegarsi a gesti ed infine eseguire immediatamente gli ordini della guida. Considerando che Wako era disarmato, mi sentivo inerme.

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Innanzitutto scopriamo che poche decine di metri fuori dal campo c’era un elefante che mangiava maltrattando gli alberi. Anche adesso che sto scrivendo in tenda, il silenzio della notte è rotto dai rumori dei rami che si spezzano. Nel primo stagno che incontriamo ci sono alcuni grossi facoceri. Mentre stiamo fermi ad osservali vengono disturbati dalla nostra presenza, si avvicinano per studiarci prima di fuggire via e sparire nel bush. Non pensavo fossero così grossi. Mentre i facoceri fuggono appaiono distanti tre giraffe. Sbucano dalla boscaglia e attraversano la radura dedicandoci solo qualche breve sguardo. Ci capita di incontrare numerosi gruppi di zebre.
Siamo sempre stati oltre la loro distanza di sicurezza e perciò hanno continuato placide a pascolare. Con loro c’erano anche numerosi gruppi di impala e di kudu.
Poco dopo incontriamo un elefante che sta venendo nella nostra direzione, lo vediamo avvicinarsi tranquillo fino a quando si ferma, ci fissa, allarga le orecchie e solleva la proboscide. Wako ci fa segno di spostarci per lasciargli libero il passo, e lui si rimette subito in movimento. Quando ci passa davanti è a meno di 5 m, gira leggermente la testa verso di noi come per farci capire che sapeva che eravamo li. Che emozione vederlo così vicino. Si muoveva lento e silenzioso spostando gli arti con morbida cadenza. Una presenza maestosa che incute timore e rispetto. Quante volte avrò visto immagini e documentari su questi grandi pachidermi, ma niente può farci capire cosa sia trovarselo di fronte. E’ una sensazione forte e primordiale, di quando gli uomini si sentivano più prede che cacciatori, come noi ora, si dovevano muovere in punta di piedi con orecchie e occhi attenti a cogliere ogni rumore o movimento sospetti. Dopo un gruppetto di due elefanti e tre giraffe che si contendevano la chioma di una acacia, ci imbattiamo nelle ossa di un elefante. Erano sparse in un raggio di 100 m.

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Rientrando incontriamo un agitato gruppo di babbuini nei pressi di una pozza d’acqua. Alcuni stavano sui termitai mentre un airone e un’aquila pescatrice restavano immobili in attesa di prede. Dopo lo spettacolo del tramonto quando ormai la luce stava calando, Wako ci indica un gufo reale. Non mi capacitavo di come abbia fatto a vederlo visto che noi abbiamo faticato ad inquadrarlo con il binocolo. Ma le sorprese non erano ancora finite. Arriviamo al campo e scopriamo che nelle acque antistanti ci sono due ippopotami. Durante la nostra assenza erano venuti proprio qui ad attendere il momento di uscire per la cena. Li vediamo apparire e sparire nell’acqua infuocata della sera. I loro sbuffi e muggiti ci arrivano forti e chiari. Cosa poteva succedere se li avessimo trovati già li quando siamo arrivati?

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